Consiglio Psicologico Online
  • Home
  • CHI SIAMO
  • servizi
  • Psicologi
  • Blog
  • eventi
  • Newsletter
  • lavora con noi

IL BLOG di CONPOL

CONSIGLIO PSICOLOGICO ONLINE
Scopri gli Articoli dei professionisti della rete CONPOL​

SCOPRI I NOSTRI PSICOLOGI

Cerca ARTICOLI per TEMATICA:

Tutto
COMUNICAZIONE
Coppia
Dipendenza Affettiva
EMOZIONI
Esame Di Stato Psicologi
Famiglia
Genitorialità
Professione Psicologo
Relazione Genitore Figli
Sostegno Psicologico

Archivio

Aprile 2022
Marzo 2022
Maggio 2021
Dicembre 2020
Ottobre 2020
Agosto 2020
Luglio 2020
Giugno 2020
Maggio 2020


Foto
Dal conflitto al dialogo: 4 strategie di comunicazione efficace nella coppia
leggi di più
Foto
La differenza tra psicologo
e psicoterapeuta

leggi di più
Foto
Il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani
leggi di più
Foto
La differenza tra Psicologo dell’albo A e Psicologo dell’albo B
leggi di più
Foto
Tecniche di Sostegno in Psicologia
leggi di più
Foto
Tocofobia: come superare l'estrema paura del parto

leggi di più
Foto
Dipendenza affettiva: quando l’amore diventa malessere

leggi di più
Foto
Genitori
​sufficientemente buoni

leggi di più
Foto
Dipendenza Affettiva
leggi di più
Foto
Come affrontare i litigi con il partner?

leggi di più
Foto
Educare i propri figli

leggi di più
Foto
Relazione Genitore/Figlio: come gestire le emozioni anche in emergenza
leggi di più
Foto
Creare la propria famiglia: la gestione delle relazioni familiari e le conseguenze nella coppia
leggi di più
Foto
L’importanza del percorso personale nella professione psicologica
leggi di più

Educare i propri figli.

4/5/2020

0 Commenti

 
Foto
A cura di Maddalena Palumbo.
Quando si forma una coppia, sia essa convivente o coniugata, questa potrebbe desiderare avere dei figli: diventare mamma e papà o, come oggi giorno talvolta accade, mamma e mamma, papà e papà. In nessun caso, comunque, si nasce genitori! Si tratta di due persone adulte che si assumono l’impegno di prendersi cura dei propri figli, siano essi naturali o adottati o avuti in maternità surrogata ecc. Non fa nessuna differenza su “come” si siano avuti i figli, purché si sia disponibili ad amarli incondizionatamente. Il vero amore per i figli non può non essere incondizionato! Ma quanti genitori sono capaci di questo tipo di amore? Certamente non è facile e molto dipende anche dalla storia di vita e dalle esperienze, dai problemi e dai traumi vissuti nelle famiglie di provenienza dei genitori stessi e quindi dai modelli familiari che si trasmettono di generazione in generazione!
Ma … se è complicato e difficile amare un figlio incondizionatamente, specialmente per quei genitori che hanno difficoltà di fronte a creature disabili e/o con handicap, tutte le famiglie si cimentano nell’educare i figli. Anche quando non vi è una volontà esplicita, è lo stesso ambiente familiare che li educa in un modo anziché un altro, sia a livello socioculturale sia a livello emozionale.
L’educazione socioculturale consiste nelle regole sociali della “tribù” di appartenenza, e con questo termine vogliamo definire il continente, la nazione, la città e la famiglia di cui si fa parte in un dato momento storico. Sappiamo, infatti, che le regole sociali sono diverse secondo le diverse culture e dei diversi periodi storici. Inoltre è bene sapere che le figure genitoriali fanno da modeling per i figli e quindi se, ad esempio, i genitori dicono bugie non possono aspettarsi né tantomeno pretendere che il figlio non le dica. Allo stesso modo, se il genitore è disonesto intellettualmente non si può aspettare né pretendere che i figli siano onesti. Così come, se il genitore pensa solo ed esclusivamente a se stesso, ignorando le esigenze del prossimo, siano essi familiari e/o sociali, non potrà pretendere che il figlio diventi una persona rispettosa dei bisogni altrui. 
Dell’educazione alle emozioni, mi sembra, invece, che i genitori siano interessati molto poco e, anche chi vorrebbe cimentarsi in quest’operazione, spesso non ha conoscenze sufficienti per metterla in pratica e di conseguenza, non di rado lo fa in modo sbagliato. L’alfabetizzazione emozionale consiste nell’insegnare ai figli a riconoscere le proprie emozioni, imparare a gestirle e a comunicarle. Anche questo dipende molto da quanto i genitori stessi le riconoscono, le comunicano e le gestiscono e quanto le trovino legittime. Ad esempio, in quasi la totalità delle culture alle figlie femmine vengono riconosciute, apprezzate e convalidate la compassione e il pianto come espressione di un certo tipo di emozioni; ma non è allo stesso modo che si educano i figli maschi, ai quali si dice che per un maschio “piangere è vergognoso!” oppure “ sembri una femminuccia!” e che deve essere un “duro”! 
Non è questo dunque, il modo di educare i figli! Non è in questo che verte la loro educazione! 
Quindi, qual è il “vero” compito educativo di ogni genitore? 
La parola educare viene dal latino “e-ducere”, ovvero “portare fuori”, sarebbe quindi compito di ogni genitore riuscire a “portare fuori” da ciascun figlio il proprio, vero e autentico modo di essere e di sentire, agevolandoli nel far emergere i loro talenti anche quando questi non collimano con quelle che sono le loro aspettative. Ecco! Queste sono le vere barriere per riuscire a educare bene i propri figli! In molti casi, infatti, fin dalla tenera età i bambini vengono manipolati dai genitori per realizzare i propri sogni e si può verificare che, magari, chi ha una grande vena artistica venga pilotato a fare degli studi e/o a svolgere delle attività che niente hanno a che fare con l’arte. Nella maggioranza dei casi ciò accade o perché i genitori desiderano che i loro figli abbraccino la loro stessa professione/attività o perché i genitori non hanno realizzato i propri sogni e vogliono vederli realizzati nei propri figli! 
Come si può concretizzare il “vero” compito educativo di ogni genitore? 
ASCOLTANDOLI!!! La risposta sembrerà banale e invece il segreto è tutto qui! “Ascoltare” non equivale a “sentire”: sono due situazioni molto diverse! Ascoltare i figli significa comprendere i loro bisogni, i loro sentimenti, le loro tristezze, le loro emozioni e insegnare loro ad individuarle, accettarle e saperle esprimere.  
 “E-ducare” consiste, quindi, nel far loro da guida nel rispetto di ciò che sentono in modo da far  sì che la ghianda si apra e porti fuori il suo frutto e quindi che al figlio tanto amato venga data la possibilità di realizzare veramente se stesso: diventare ciò che era nato per essere!!!
Per conseguire quest’obiettivo è indispensabile evitare errori che risultano essere di impedimento a una giusta e corretta “e-ducazione”, quali ad esempio, essere iperprotettivi volendo evitare ai figli tutte le sofferenze e arrivando finanche a schierarsi dalla loro parte nel momento in cui un professore dà qualche insufficienza nell’interrogazione e/o qualche punizione: purtroppo non esiste persona al mondo che abbia potuto raggiungere tale obiettivo e poi, non dimentichiamolo, sono proprio gli intoppi, le sofferenze, i problemi, gli ostacoli con il conseguente superamento degli stessi che ci fanno crescere e maturare. 
È necessario creare e sostenere la loro autostima e, affinché ciò avvenga, quando i genitori danno dei giudizi, non devono stigmatizzare la persona  per ciò che ha fatto, bensì focalizzarsi sul comportamento che si vuole correggere. Ad esempio: non dire “ sei stato cattivo” ma “questa cosa non va fatta”, in tal modo il bambino/ragazzo non si sente sminuito nella persona ma si sente comunque accettato dai genitori, i quali devono far sentire il proprio figlio unico! Certamente bisogna anche sapere, come detto sopra, che si fa da modelli per i propri figli e quindi è necessario adottare dei comportamenti e degli atteggiamenti determinanti, affinché il figlio possa apprendere una modalità che sia funzionale per sé e per gli altri. Una strategia fondamentale da utilizzare con i figli è adottare delle regole condivise. Le regole, infatti, non devono mai essere imposte, perché in tal modo non sono comprese dai figli e vengono vissute da loro soltanto come un’imposizione, avvertendo un senso di  schiacciamento da un’autorità superiore. Condividere le regole significa mettersi a tavolino con il proprio figlio e mediare sui vari bisogni per trovare una posizione che sia possibile sia per figlio sia per il genitore. Non sono molti i genitori che adottano tale pratica: lo vedo quotidianamente nel mio lavoro e vedo anche la loro grande difficoltà ad adottare questa modalità, anche quando gli viene proposta!
Altro grave errore consiste nel minimizzare ciò che i figli sentono! Di fronte a una loro sofferenza emotiva di qualsiasi tipo  è vietato rispondere con: “Non piangere!”, “Non arrabbiarti!”, “Non preoccuparti, tanto non è niente!”. In questo modo i figli non si sentono compresi, né accolti né accettati nel loro dolore!   
Altro grande errore è quello di avere la presunzione di sapere ciò di cui i nostri figli hanno bisogno e di conseguenza non s’interpellano, ma si va avanti per la nostra strada nella convinzione che stiamo facendo la cosa migliore per loro!
Infine, è di fondamentale importanza essere consapevoli che tutto questo avrà comunque pochissimo valore se alla base non vi è un grande amore verso i figli.  I figli “sentono” quanto i genitori li amano e quanto sono accettati così come sono. E per rispettarli, a qualunque età, è necessario lasciarli liberi di essere ciò che sceglieranno di essere.
Concludendo, vorrei terminare quest’articolo invitando tutti i genitori - in questo bruttissimo momento, dovuto alla pandemia da Covid 19, durante il quale la parola d’ordine è “restate a casa!” -  a cogliere questo tempo per mettere in pratica quanto riportato in quest’articolo, cambiando la modalità di relazionarsi con la prole,  per scoprire la bellezza e l’unicità dei propri figli, regalandosi momenti di condivisione che, solitamente, nella vita quotidiana nella quale si corre continuamente perché piena di cose da fare, non si ha né tempo né modo di esperire!

Maddalena Palumbo: counselor, mediatore familiare, dottore in tecniche psicologiche, conciliatore.

Per avere maggiori informazioni potete contattarmi: 
maddalena.palumbo@libero.it
info.pacificazione@gmail.com




0 Commenti

La differenza tra psicologo e psicoterapeuta.

4/5/2020

0 Commenti

 
Foto
A cura di Maddalena Palumbo.
Ad oggi sono molteplici le attività di tipo psicologico: lo Psicologo, lo Psicoterapeuta, il Dottore in Tecniche Psicologiche, il Counselor, il Mediatore Familiare ecc. Le prime tre sono le sole professioni psicologiche che, allo stato attuale, rientrano tra le attività sanitarie che sono riconosciute dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, CNOP, dopo relativa iscrizione all’Albo Regionale. Ciascuna di queste attività ha necessità di un preciso e tipico percorso per apprendere conoscenze, competenze e strategie da applicare per aiutare le persone che si rivolgono a loro, avendo come centralità  il “benessere psicologico” dei pazienti.
I percorsi, quindi, come detto sopra, sono precisi e specifici per arrivare all’iscrizione all’Albo.
Ma qual è dunque la differenza tra psicologo psicoterapeuta? Consiste appunto nel tipo di percorso e nella conseguente abilitazione per il tipo di intervento. 
Lo psicologo è il soggetto che ha studiato per cinque anni conseguendo prima la laurea triennale e poi la laurea magistrale con un indirizzo specifico in una determinata area della psicologia. Oltre all’indirizzo clinico, infatti, ne esistono altre che permettono di acquisire abilità e compiti specifici in settori delicati come: lavoro, comunità, scienze cognitive, ecc.
A questo punto si è laureati in psicologia, ma ancora non si ha diritto al titolo di psicologo.
Come si raggiunge questo titolo? È necessario fare un anno di tirocinio, della durata di mille ore. Esso si deve svolgere presso enti convenzionati con l’università di appartenenza. Vi sono strutture che si interessano di bambini e adolescenti (età evolutiva), di anziani, di famiglia, di coppia ecc. Il laureato, quindi, sceglierà quella che gli è più consona anche in vista del bacino di utenza che vorrà avere e del tipo di lavoro che vorrà svolgere.
Anche dopo l’anno di tirocinio il percorso non è ancora terminato: è in agguato il famigerato esame di Stato che spaventa la maggior parte degli studenti! Questo esame consta di quattro prove di cui tre scritte e una orale. Il superamento di tale esame darà diritto all’iscrizione all’Albo degli Psicologi della regione di appartenenza. Gli Albi Regionali sono riconosciuti dal CNOP, e solo dopo questa iscrizione ci si può fregiare del titolo di Psicologo.
A questo punto, cosa manca ancora per diventare uno psicoterapeuta? Manca ancora un percorso alquanto lungo e impegnativo: la specializzazione! Essa consiste nel frequentare una scuola, di specializzazione appunto, della durata di quattro anni, al fine di raggiungere una specifica formazione teorica e pratica. A queste scuole vi possono accedere sia il laureato in psicologia, come su detto, che i laureati in Medicina e Chirurgia. Le scuole di specializzazione devono essere riconosciute dal MIUR secondo le normative vigenti. Esse rispecchiano tipologie diverse e specifiche di intervento: psicoanalisi, cognitivo, cognitivo-comportamentale, analisi transazionale, Gestalt, sistemica relazionale, familiare e tante altre. Inoltre vi sono scuole cha prediligono una formazione pluralistico integrata, come ad esempio la scuola ASPIC (Associazione per lo Sviluppo Psicologico dell’Individuo e della Comunità). Ogni Psicologo farà un’attenta analisi, valutazione e selezione della scuola da preferire perché è da essa che dipenderà il suo futuro lavorativo e direi personale, nel senso di soddisfazione e appagamento, visto che gran parte della vita di ciascuno è assorbita dal lavoro.
È importante sapere che alcune scuole consigliano mentre altre impongono un percorso personale di psicoterapia come strumento necessario ad affrontare il lavoro tutt’altro che semplice di psicoterapeuta. La mia opinione personale è che il percorso debba essere prescritto in quanto non ci si può dedicare al benessere psicologico altrui se prima non ci si è dedicati al proprio, lavorando su se stessi e sulle proprie dinamiche disfunzionali: chi può sostenere di non averne? Questo percorso servirebbe come base per riuscire a fronteggiare ad esempio situazioni di risonanze rispetto al proprio vissuto.
Al termine dei quattro anni di specializzazione, previa presentazione di una tesi e di un esame finale, coloro che avranno superato tali verifiche, potranno fregiarsi del titolo di Psicoterapeuta e potranno comunicarlo all’Ordine di appartenenza. 
Fin qui le differenze del percorso da fare per conseguire il titolo di psicologo o di psicoterapeuta. Ma quali sono poi le differenze pratiche nell’attività professionale?
In generale, lo psicologo può somministrare test, svolgere colloqui a fini diagnostici, selezionare il personale, realizzare attività di orientamento tramite colloquio individuale o di gruppo, eseguire attività educative in piccoli gruppi per promuovere abilità psico-sociali, interviene per la prevenzione, diagnosi, attività di abilitazione, di riabilitazione e di sostegno rivolte a persone, gruppi, organismi sociali e comunità. Inoltre può svolgere attività di sperimentazione, ricerca e formazione nell’ambito prescelto. In particolare, l’indirizzo clinico consente una peculiare specializzazione nel settore della salute mentale, diagnosi psicologica e interventi volti all’aiuto. In sintesi i compiti e le mansioni dello psicologo sono: diagnosi e cura di disturbi psicologici; prevenzione del disagio e promozione della salute; supporto psicologico; consulenza psicologica (counseling); attività di riabilitazione; programmazione e verifica di interventi psicologici, psico-sociali e psicoeducativi.
Lo psicologo, inoltre, può fare delle valutazioni della problematica presentata dal paziente e può ritenere necessario un “trattamento psicoterapeutico”: questo è di competenza esclusiva di questo professionista. Lo psicoterapeuta quindi è abilitato a svolgere la psicoterapia, un percorso di trattamento per i disturbi psicopatologici, utilizzando specifiche tecniche psicoterapeutiche apprese nel percorso di specializzazione.
Concludendo questa dissertazione sulle differenze tra psicologo e psicoterapeuta mi piace sottolineare che comunque entrambe le figure professionali, durante i loro incontri con i pazienti, devono necessariamente mettere in pratica l’ascolto attivo, l’ empatia e l’accettazione incondizionata con particolare attenzione alla comunicazione, alla fiducia e all’alleanza di lavoro!

Per avere maggiori informazioni potete contattarmi: 
maddalena.palumbo@libero.it
info.pacificazione@gmail.com

0 Commenti
Fornito da Crea il tuo sito web unico con modelli personalizzabili.
  • Home
  • CHI SIAMO
  • servizi
  • Psicologi
  • Blog
  • eventi
  • Newsletter
  • lavora con noi