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![]() Creare la propria famiglia: la gestione delle relazioni familiari e le conseguenze nella coppia
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![]() Creare la propria famiglia: la gestione delle relazioni familiari e le conseguenze nella coppia
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![]() Articolo a cura della Dott.ssa Maddalena Palumbo Ogni qualvolta mi accingo a scrivere sul tema “coppia” e sulle numerose difficoltà che essa trova durante il suo percorso, mi torna alla mente un avvocato napoletano A.P. marito premuroso e padre amorevole di sette figli il quale soleva esclamare spesso: ”Non riesco a comprendere come sia possibile che esista una laurea per esercitare ogni tipo di professione e non ne esista una per imparare a stare bene in coppia e a fare i genitori!” Ecco, in questo articolo scriverò dei litigi col partner, riportando un “grandissimo”… Cominciamo col dire che la coppia vive un suo “ciclo evolutivo” la cui prima fase è rappresentata dall’innamoramento. In questa fase non siamo in grado di vedere l’altro come veramente è e spesso lo idealizziamo riducendo in misura infinitesimale i suoi difetti e aumentando esageratamente i suoi pregi e inoltre viviamo l’illusione e nutriamo l’aspettativa che l”’Altro” soddisferà tutti i nostri bisogni… purtroppo ciò non corrisponde al vero!… e quando la realtà fa capolino nel quotidiano, cominciano i primi dissapori, le prime discussioni, i primi litigi. La maggior parte dei litigi con il partner scoppia quando la comunicazione non è corretta e non si riesce a trovare un accordo sul problema sul quale si sta discutendo in quel dato momento e i litigi, mal gestiti, portano spesso a conflitti anche profondi portando sovente a separazioni “fasulle”. Perché “fasulle”? Perché molto spesso accade che a una “separazione giuridica” non corrisponda una “separazione emotiva” e quindi i partner continuano a mantenere un forte legame. I tribunali sono pieni di coppie che si fanno la guerra per anni senza sapere che, se il legame fosse veramente sciolto, non starebbero lì: per confliggere devono necessariamente stare in contatto… ma loro questo non lo sanno! I litigi sono basati su un meccanismo perverso di interazione: ognuno dà la colpa all’altro di ciò che sta accadendo o di ciò che è disfunzionale nel rapporto. Così la “colpa” rimbalza dall’uno all’altro senza soluzione di continuità, quasi fosse una pallina di ping pong. In realtà la parola “colpa” non dovrebbe essere pronunciata. Nel rapporto di coppia, quasi mai si è nella consapevolezza di ciò che succede oltre a ciò che appare, e quasi mai si è nella consapevolezza che tutto ciò che si verifica accade col contributo di tutti e due nella stessa percentuale, al 50%, e quindi con la stessa responsabilità: si è due metà di una stessa mela. Nella relazione di coppia, quindi, è importante acquisire la consapevolezza che, pur rimanendo presenti un “io” e un “tu”, esiste un “noi”. Quando una coppia si fa la guerra, dunque, è una lotta che viene fatta non soltanto dall’uno contro l’altro, ma anche e principalmente al “noi” costruito insieme. Trattando dei litigi in seno alla coppia, cosa si può dire di più e/o di meglio di quanto scrisse Francesco Alberoni nel 1987 sul Corriere della Sera nella rubrica “Pubblico & Privato”? L’articolo era intitolato “Se il divorzio scatena la belva che è in noi”. Ecco la sua testimonianza: «Perché si sta litigando? Perché due persone vissute insieme diversi anni, quando si separano, non riescono quasi mai a evitare il conflitto, i litigi violenti, le accuse, le recriminazioni? Molti pensano che siano proprio questi litigi la causa della separazione. I due partner litigano così ferocemente che, a un certo punto, non ne possono più e si separano. Ma se così fosse, la separazione dovrebbe essere un sollievo, un momento di gioia e i due membri della coppia dovrebbero essere raggianti e stringersi la mano da buoni amici. Invece la separazione è un trauma profondo. Restano i rancori e i litigi sono pronti a scoppiare anche dopo. Ma sono effettivamente i litigi che conducono la coppia alla separazione? No, i litigi non sono la causa della separazione ma il sintomo della sua difficoltà: sono la manifestazione di legami, domande, bisogni reciproci ancora vivi, talvolta indistruttibili. Le persone che sono state profondamente innamorate e/o che hanno vissuto assieme per anni si avviano sulla strada che porterà alla separazione quando non riescono più a darsi qualcosa che, per ciascuno di loro, è essenziale. E non riescono a crederci. Perché ciascuno, nel matrimonio o nella convivenza, ha cercato di dare il meglio di sé, si è sacrificato e si aspetta che l’altro sia soddisfatto. Invece ciascuno ha nel proprio cuore mille desideri, mille bisogni che nessuna persona al mondo può soddisfare. Tutte le persone cambiano, e spesse volte i due partner non cambiano nella stessa direzione e allora entrambi cominciano a rimproverarsi reciprocamente di non corrispondere alle originarie aspettative. L’amore finisce perché ciascuno, diventando appieno sé stesso, si allontana da come l’altro lo voleva. La delusione e il rancore profondi sono possibili soltanto in persone che si sono volute bene e che, per molto tempo, hanno fatto ogni sforzo per capirsi e per soddisfare i desideri reciproci. Il litigio è un grido, è una richiesta di stima per sé stessi e una richiesta all’altro di cambiare. È un confronto tra due prospettive di vita in cui ciascuno vuol vedere riconosciuta la validità, la dignità della propria e, nello stesso tempo, vuole che l’altro cambi per adeguarsi a lui. Nei litigi c’è sempre una richiesta angosciosa, pressante: “Dammi questo!” “Fa’ così!”. E questa richiesta è accompagnata dalla giustificazione: “Fallo, perché io sono diverso da te e per me è essenziale”. Anche se la richiesta è fatta in tono lamentoso o rancoroso, il significato è sempre questo: “Riconosci il mio valore e il mio diritto”. E l’altro risponde nello stesso modo, rifiutando. “Io non posso, perché la mia natura è diversa, perché ho anch’io un analogo valore, un’analoga dignità, un’analoga differenza che voglio venga accettata”. In fondo, ciascuno richiede all’altro di essere ciò che non è e, così facendo, mette in discussione la sua identità, il suo valore in quanto persona: non un singolo gesto, ma il suo modo di essere. Per questo i litigi sono così drammatici e provocano tanta sofferenza. Si comprende anche perché la separazione e il divorzio, spesso, non fanno cessare questi scontri. Basta che se ne ripresenti l’occasione e si riaccendono: perché ogni essere umano vuol vedere riconosciuto il suo valore. Ciascuno, anche dopo molto tempo, continua a voler ottenere un riconoscimento dalla persona che forse ha amato di più nella vita. Il riconoscimento degli altri non gli basta. Vuole proprio quello. Ed è per questo che vi sono molti uomini e molte donne che dopo anni di separazione attendono ancora il gesto, la parola, l’ammissione, il riconoscimento che ritengono loro dovuti.» ( F. Alberoni). Se una comunicazione scorretta porta ai litigi e se questi, mal gestiti, portano a conflitti profondi si ha come conseguenza la crisi del rapporto. Ma la parola “crisi” non significa solo momenti di stallo o di negatività, etimologicamente proviene dalla parola “crino” che significa “scelta”. Pertanto, paradossalmente, la conflittualità può rappresentare un’opportunità di crescita individuale e di evoluzione del rapporto stesso… e di questo parleremo in seguito…
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A cura della Dr.ssa Maddalena Palumbo
Il codice deontologico è un codice di comportamento, generalmente avente efficacia normativa, a cui il professionista deve attenersi per l’esercizio della sua professione. Esso stabilisce e definisce le concrete regole di condotta che devono necessariamente essere rispettate nell’esercizio della specifica attività professionale. Il codice deontologico degli psicologi è stato approvato dal consiglio nazionale il 28 giugno del 1996 e, dopo approvazione attraverso un referendum, è entrato in vigore il 16 febbraio 1998. Nel testo del 2006, approvato dal consiglio nazionale dell’ordine ai sensi della legge n. 56/89, si afferma che “Il professionista che opera nell’ambito delle tecniche psicologiche è tenuto al rispetto del codice deontologico”. Si fa quindi riferimento anche al Dottore in Tecniche Psicologiche, iscritto all’Albo B, anche se non viene mai citato esplicitamente. Anch’egli è tenuto al rispetto di tale codice. Il codice deontologico quindi fissa le norme dell’agire professionale e definisce i principi guida che strutturano il sistema etico in cui si svolge la relazione con il paziente. Il codice deontologico è costituito da 42 articoli suddivisi in cinque gruppi omogenei, che vanno a costituire i seguenti capi:
Eugenio Calvi (2000) individua nel nostro codice deontologico quattro “finalità ispiratrici”:
Inoltre, Calvi, afferma che alla base del codice vi sono anche dei “principi generali” necessari all’attività professionale:
Nei “rapporti con l’utenza” lo psicologo:
Nei “rapporti con i colleghi”, il professionista deve:
Dal punto di vista deontologico, gli articoli più delicati a cui devono porre attenzione gli iscritti all’Albo B, sono quelli che marcano due principi fondamentali: i limiti della competenza e la corretta pubblicità verso il cliente.
Riguardo alla corretta pubblicità, gli iscritti all’Albo:
Art. 24. (…) Lo psicologo fornisce all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse (…). Bibliografia Emilia Wanderlingh e Daniele Russo. professione Psicologo, manuale di preparazione all’Esame di Stato. Edizione Alpha Test 1 Ad oggi nonostante la legge autorizzi alla somministrazione di test standardizzati anche l’iscritto all’albo B, vi sono case editrici che impongono restrizioni alla vendita in modo arbitrario. |
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