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Creare la propria famiglia: la gestione delle relazioni familiari e le conseguenze nella coppia
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Creare la propria famiglia: la gestione delle relazioni familiari e le conseguenze nella coppia.

8/12/2020

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Articolo a cura della Dott.ssa Stefania Proietti

Eleonora ha 30 anni, da un anno è andata a convivere con il suo compagno Riccardo. Ogni sera prima di tornare a casa passa a trovare i suoi genitori, per assicurarsi che sia tutto ok, scambiare due chiacchiere, chiedere il loro parere su alcune questioni personali, rispondere alle richieste che le fanno continuamente. Riccardo, rientrato dal lavoro la attende con pazienza, iniziando però a mostrare disappunto, sente che il loro spazio di coppia è occupato un po’ troppo dalla famiglia di origine della sua compagna. Eleonora non riesce a barcamenarsi tra le richieste provenienti, implicitamente e non, dai suoi genitori, dal suo compagno, e sente la difficoltà nel decifrare il suo mondo interiore, mondo in cui i suoi bisogni, le sue emozioni, non trovano il giusto spazio.
Quando si è davvero liberi di agire nel rispetto dei propri spazi individuali e di coppia? Quando si diventa realmente adulti, differenziati e indipendenti emotivamente dalla propria famiglia?
Il termine differenziazione (M. Bowen, 1979) fa riferimento a quel lento e complesso processo attraverso il quale l’individuo si muove per divenire emotivamente differenziato dai propri genitori, nella misura soggettiva in cui ciò sarà possibile. Determinanti in tale processo sono il grado di differenziazione di madre e padre e il clima emotivo prevalente nella famiglia d’origine. Sin dalla prima infanzia, infatti, il bambino è a stretto contatto con l’emotività e la soggettività delle persone significative che gli sono accanto. I temi irrisolti dei genitori si tramandano attraverso le generazioni, e possono ostacolare il nostro processo di separazione dal nucleo familiare di origine. Quando questo avviene, la nostra parte più bambina, bisognosa, dipendente e indifferenziata, è predominante rispetto a quella adulta, rimanendo fortemente vulnerabile alle influenze esterne. Si resta imprigionati in una posizione infantile, che rende spesso “incapaci” di quell’autorevolezza personale davanti ai propri genitori, e non in grado di superare i limiti “gerarchici” per poter instaurare con loro un rapporto alla pari. L’alto livello di simbiosi emotiva presente all’interno della famiglia impedisce ai suoi membri una chiara percezione di sé come individui completi. La dipendenza che si crea è reciproca, ma siamo noi figli a dover tentare quel “movimento” interiore per poterla superare.
Cosa può succedere quando si sta in coppia con un basso livello di differenziazione?
Quando i partner non sono riusciti a separarsi in modo adulto dalle rispettive famiglie, ciò che appartiene al passato rimane sospeso, e andrà inevitabilmente ad occupare lo spazio di coppia, non come valore ma come ostacolo. Maurizio Andolfi (1999), a tal proposito, ha descritto tre configurazioni differenti di coppie :
LA COPPIA CONFLITTUALE, in cui la tensione è molto alta, come se i due partner facessero parte di due squadre avversarie. Il legame è fortemente influenzato da tutto ciò che è irrisolto nelle proprie storie familiari. Da una parte un partner che si è apparentemente distaccato dalla propria famiglia, ma sente ancora forte dentro di sé la rabbia e il dolore per tutto ciò che è rimasto in sospeso con genitori e fratelli; dall’altra invece uno che non è riuscito a separarsi, differenziarsi dalla sua famiglia, con la quale nutre una forte dipendenza emotiva. Come si può trovare quello spazio comune di coppia, libero da intrusi, e diventare un’unica squadra con obiettivi comuni?
LA COPPIA INSTABILE, nella quale in genere i due partner sono accomunati da un vissuto di deprivazione affettiva nella propria famiglia d’origine. Per colmare tale vuoto ognuno chiede implicitamente all’altro di essere il genitore che non ha avuto, investendolo di grandi aspettative e richieste che in realtà non gli competono. Non vi è una reale intimità di coppia, ma una costante richiesta di vicinanza affettiva, limitante per la libertà individuale. Il rischio che si corre, se tale rassicurazione non arriva dalla propria famiglia o dalla relazione di coppia, è quello di richiederla ai propri figli.
LA COPPIA “SANDWICH” SCHIACCIATA TRA DUE GENERAZIONI. Con il prolungamento dell’età media di vita, insieme all’allungarsi dei tempi dei figli nell’uscita da casa, molto spesso le coppie si trovano davanti ad una condizione che potremmo definire come “nido pieno”. Compito arduo per i coniugi è quello di riuscire a mantenere un confine coniugale, un proprio spazio di intimità. Ci si può ritrovare letteralmente schiacciati tra due generazioni, quella anziana dall’alto e quella dei figli dal basso. Troppe presenze e troppi pensieri! In tali circostanze la coppia può entrare in crisi, e il rapporto può logorarsi nel tempo.
Alla luce di ciò, è importante proteggere e rispettare gli spazi individuali e di coppia, permettendo quel passaggio evolutivo necessario alla crescita personale. Quando questa diventa una sfida troppo grande per affrontarla da soli, un percorso terapeutico potrebbe diventare un valido strumento per fermarsi, ascoltarsi, e cercare un giusto equilibrio nell’incontro tra sé, la propria famiglia ed il proprio partner.
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Tecniche di Sostegno in Psicologia

4/12/2020

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Articolo a cura della Dott.ssa Maddalena Palumbo

Il sostegno in psicologia si differenzia dalla psicoterapia e consiste in un intervento supportivo, svolto dallo psicologo e rivolto a persone che vivono momenti di crisi, disagi e difficoltà. 
Molto interessante è la distinzione degli interventi psicologici in tre livelli, dal più superficiale al più profondo, che fa Cawley (1987): 
  1. superficiale: appoggio, consiglio;
  2. Intermediario;
  3. Profondo: analisi.
Il sostegno psicologico quindi è rappresentato dal primo livello e i suoi obiettivi sono circoscritti, come detto sopra, a disagi, crisi, difficoltà ecc. Ad es. una separazione coniugale,  un cambio di residenza, un cambiamento di lavoro  ecc. L’obiettivo del sostegno in psicologia consiste nell’apportare dei piccoli cambiamenti al fine di superare le difficoltà portate in seduta dal soggetto.
In ogni caso bisogna effettuare un’analisi della domanda per comprendere i veri bisogni della persona e per verificare se invece ha bisogno di una psicoterapia.
La tecnica per eccellenza del sostegno in psicologia è il “colloquio psicologico”.
Esso si basa sostanzialmente, da parte dello psicologo, sulla triade Rogersiana: “Empatia, Accettazione incondizionata” e “Congruenza”. 
Attraverso il colloquio psicologico il professionista accompagna l’utente nella chiarificazione ed espressione dei propri bisogni, dei propri sentimenti e delle proprie emozioni. 
La consulenza e il sostegno psicologico sono quindi tra gli strumenti di particolare importanza e rilievo nell'opera dello psicologo e hanno ampia applicazione in percorsi individuali, di coppia e di gruppo allo scopo di ripristinare il benessere psicologico. Nell'incontro con lo psicologo, lo scopo principale non è sostituire/ricostruire, ma "sostenere" le parti sane e le risorse positive che l'utente evidenzia.
L'intervento di sostegno psicologico, quindi, si muove nel perseguimento di taluni obiettivi di cui principalmente: 
  1.  raggiungere la consapevolezza del problema; 
  2. produrre un miglioramento dello stesso; 
  3. cercare soluzioni possibili; 
  4. eventualmente indicare un possibile intervento psicoterapeutico con invio ad altro professionista.
Esistono diversi tipi di sostegno come per esempio: 
  1. aiutare il paziente a cogliere aspetti positivi nel far fronte ai disagi che vive;
  2. cercare di infondere sicurezza nel fronteggiare gli accadimenti collegati al problema/disagio; 
  3. sottolineare aspetti della realtà che in quel momento sfuggono alla consapevolezza del soggetto etc.
Il colloquio per la consulenza e sostegno si applica a molti contesti. Esso non si occupa di indagare le origini o le cause del conflitto o della problematica, bensì cerca una soluzione a precise questioni, nel “qui e ora". 
Nel colloquio psicologico ci si avvale di tecniche di sostegno quali interventi psicopedagogici, brainstorming,  somministrazione di questionari che diano allo psicologo più informazioni possibili e che, allo stesso tempo chiariscano alla persona tanti aspetti di cui non ha ancora consapevolezza. 
Alcuni degli interventi psicopedagogici sono: correggere le “Convinzioni Irrazionali” dopo averle fatte emergere, insegnare a come trovare soluzioni, utilizzo di questionari quali quelli per valutare le proprie aspettative e i bisogni, il questionario da cui si evince la “propria responsabilità” nel disagio/conflitto/crisi, ecc. Infine, ma non in ordine di importanza, insegnare “le abilità per comunicare” quali “I blocchi della comunicazione”, la tecnica comunicativa della “Comunicazione Non Violenta” in quattro tempi: osservazione, sentimento, bisogno, richiesta (Marschall Rosenberg).
Concludendo, quindi, possiamo dire che le tecniche di sostegno in psicologia permettono di evidenziare i bisogni annessi alla richiesta di aiuto e sono un validissimo aiuto in quanto risultano essere in grado di produrre cambiamenti significativi nelle persone che si rivolgono al professionista.

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Relazione Genitore–Figlio: come gestire le emozioni anche in emergenza.

4/12/2020

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 Articolo a cura della Dott.ssa Giorgia Scarpitti 

In questi mesi di emergenza sanitaria, ogni individuo ha rimodulato le proprie abitudini adattandole agli attuali provvedimenti anti-contagio, al fine di tutelare la salute delle persone a noi vicine e della nostra comunità. Questi cambiamenti richiedono impegno e costanza nel rispettare regole che impongono a noi tutti confini chiari e definiti, limitando i nostri desideri e le nostre scelte quotidiane. 

Immaginiamo un bambino che è solito svolgere azioni con i nonni, ad esempio giocare a lungo con i videogiochi, ma un’altra autorità, ovvero i suoi genitori, gli vieta di fare le stesse cose. Il bambino sperimenterà allora diverse emozioni, come ad esempio rabbia, tristezza e noia, causate da una privazione che non comprende e che ha difficoltà ad accettare. In questo periodo ogni persona, di qualunque età, sta sperimentando dei “no” che possono generare naturalmente emozioni contrastanti e a volte difficili da gestire. Tutti gli individui si trovano infatti costretti in norme e regole che richiedono a volte molta fatica per essere adempiute, in quanto stravolgono comportamenti abituali e consolidati.  
L’emergenza sanitaria impone divieti che per alcune categorie hanno ripercussioni sia nello stato di salute psicofisico sia nella personale situazione socio-economica. Sin dall’inizio della pandemia, i genitori sono stati chiamati a rispondere con prontezza ad una serie di difficoltà pratiche e organizzative. Lo smart-working, pur essendo un provvedimento indispensabile per la salute pubblica, ha portato con sé conseguenze inevitabili che, a volte, pesano nella gestione familiare. È complicato cogliere fino in fondo ciò che vive un padre e una madre, al tempo del covid. Immaginiamo che molte volte i genitori si sentano dire come e cosa fare e alla lunga tutti i consigli non richiesti, seppure a volte utili, potrebbero non essere accolti. Proviamo ad immaginare cosa può significare lavorare con i figli in casa; come può essere occuparsi della propria attività nella stessa stanza in cui si mangia o in cui si guarda la tv; telefonare o partecipare a call conference mentre in casa ci sono i figli che litigano o chiedono dove sono i calzini. E se i figli sono piccoli? I genitori si trovano a rispondere a maggiori richieste e a far fronte a più difficoltà nella gestione della quotidianità. A volte invece la dimensione della propria casa trasmette talmente tanta sicurezza e protezione che il rischio potrebbe essere quello di evitare le uscite, limitando le possibili situazioni di svago ancora concesse dalle regole emergenziali imposte, come una passeggiata nel verde. Questi sono solo piccoli esempi di una realtà ben più complessa, in cui i genitori si adattano giornalmente e che richiede un importante dispendio di energie. Gli aspetti pratici e organizzativi spesso assorbono la maggior parte delle energie dei genitori e generano stress e affaticamento. 
L’emergenza sanitaria è un vero stravolgimento anche per bambini e adolescenti, infatti suscita anche in loro un turbamento emotivo spesso mascherato da comportamenti apparentemente disconnessi dalla situazione attuale. In realtà, ogni comportamento sta ad indicare qualcosa che, seppure non immediatamente leggibile, esiste. Questo avviene anche nella relazione genitore-figlio in cui la comunicazione non verbale costituisce un elemento chiave per cogliere i bisogni emotivi che i bambini e gli adolescenti vogliono trasmettere. «La comunicazione verbale implica l'uso della parola, con la quale esprimiamo il contenuto delle nostre azioni. La comunicazione non verbale è invece l'espressione del corpo, cioè l'insieme di tutti quei segnali che trasmettiamo attraverso i gesti, la mimica, le espressioni facciali, l'accento emotivo della comunicazione. Comunicare non equivale a parlare; i messaggi contengono percentuali diverse di elementi comunicativi (Giusti, Ticconi, 1998).
  • 7% Comunicazione verbale (parole);
  • 38% comunicazione para verbale (volume ed espressività della voce, velocità dell’eloquio, ecc.);
  • 55% movimenti del corpo» (De Luca, Spalletta, 2011, pag. 83). 
La stanchezza e lo stress dei genitori e lo scompiglio emozionale dei figli a volte rischiano di provocare un corto circuito comunicativo, generando incomprensioni o fraintendimenti. I genitori a volte potrebbero faticare a comprendere i comportamenti dei figli oppure potrebbero rischiare di interpretarli attraverso la loro prospettiva soggettiva. Uno strumento utile per costruire un ponte comunicativo è l’ascolto attivo. «Il bisogno di essere ascoltati e la disponibilità ad ascoltare è il primo passo per costruire una comunicazione efficace e di conseguenza una buona relazione» (De Luca, Spalletta, 2011, pag. 83). Potrebbe sembrare scontato parlare di ascolto, tutti sentiamo ciò che ci circonda, eppure ascoltare è una vera e propria Arte. È possibile ascoltare con gli occhi per osservare ciò che accade, è possibile ascoltare con la testa per domandarsi e poter verificare all’esterno, con l’altro da sé, “cosa mi sta comunicando?” ed è possibile, infine, ascoltare con il cuore per cogliere empaticamente le vibrazioni emotive che i figli trasmettono. Attraverso l’ascolto reale e profondo dei figli, è possibile scorgere oltre il comportamento, cogliere il bisogno e l’emozione esperita, guardando dal punto di vista dell’altro. L’ascolto empatico rappresenta uno strumento utile per gestire le emozioni dei figli, anche durante questo periodo emergenziale. Con tale strumento s’intende la capacità del genitore di sintonizzarsi emotivamente con la musica interiore dei figli senza applicare alcuna distorsione che parta da una personale lettura dello spartito. Il suono emotivo del figlio è bene che venga ascoltato profondamente così come appare, accogliendo e comprendendo la musicalità senza giudizio né critiche, attraverso un processo di validazione. Ad esempio, immaginiamo un bambino molto arrabbiato per non aver potuto mangiare un gelato prima di cena. In questo caso, se il genitore, anziché dirgli “non devi urlare” gli rimanderà “Può accade a tutti di sentire rabbia, anche a me, è naturale!” starà validando l’emozione del bambino legittimandola nel suo alfabeto emozionale.  Tuttavia, è importante ricordare che validare e accogliere l’emozione non vuol dire assecondare tutte le richieste e i desideri del figlio ma agevolarlo nel dare un nome a ciò che sente così da imparare piano piano a gestire le emozioni e le conseguenti azioni.
Quando il genitore valida l’emozione del figlio, contestualmente gli trasmette che il suo mondo emotivo, attraverso il quale sperimenta la realtà, è “ok”, in tal modo tutte le emozioni sono legittimate ad essere espresse. Il figlio sperimenta un genitore che accoglie le sue emozioni, il proprio mondo interiore, che accetta il suo sé nella totalità, senza giudizi né svalutazioni. È importante che il genitore sperimenti ogni manifestazione emotiva del figlio come un’opportunità per cogliere di più la sua essenza, differente, unica. 
«A volte i genitori temono le reazioni aggressive perché le considerano un atto di rottura del legame, ma non è così. in fondo lo stesso termine aggressività nella sua etimologia indica “andare verso”, ovvero un atto di avvicinamento piuttosto che di rottura. Mi arrabbio perché credo sia giusto ristabilire un equilibrio, uno stato di giustizia dal punto di vista soggettivo; più importante è la situazione, più ci tengo a ristabilire l'equilibrio. Piuttosto che un atto di rottura è spesso un atto di fiducia» (Perdighe, 2015). I figli si aprono e manifestano il loro disagio attraverso espressioni emotive a volte forti proprio con coloro con cui sentono di potersi fidare. Ascoltare e validare le emozioni è fondamentale per legittimare il mondo interiore del figlio, rispondere alla sua richiesta di ascolto con la giusta vicinanza emotiva consolidando la fiducia che ha riposto nel genitore. 
Altre strategie di coping familiare utili in questo periodo di emergenza riguardano la strutturazione del tempo familiare. Può essere importante definire dei momenti nella giornata in cui ogni membro della famiglia possa svolgere da solo, per un tempo realistico, un attività che gli piace. Ritrovare spazi individuali di benessere favorisce la ricarica delle proprie energie e migliora la relazione con gli altri. Inoltre, è molto utile incrementare momenti piacevoli insieme, costruire, con la collaborazione di tutti i membri della famiglia, un tempo in cui poter condividere attività soddisfacenti che rafforzino il benessere familiare. Gli spazi di condivisione possono generare scambi che, seppure non hanno il potere di trasformare la realtà circostante, possono darci nutrienti carezze emotive che incrementano l’armonia in famiglia e migliorano il benessere personale. 

Bibliografia
Perdighe (2015) Il linguaggio del cuore. Riconoscere e accettare le emozioni dei propri figli e accompagnarli nella crescita. Edizioni Centro Studi Erikson S.p.A.
De Luca, Spalletta, (2011) Praticare il tempo. Manuale operativo per ottimizzare la vita personale e professionale. Sovera Edizioni.

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Dipendenza Affettiva

4/12/2020

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Articolo a cura della Dott.ssa Rosanna Di Falco

Nel corso dei secoli l'amore è stato reso come una passione straziante. Ovidio fu il primo a proclamare: “Non posso vivere con o senza di te” ( Amores III, xi, 39), 

E anche il linguaggio quotidiano è pieno di espressioni come "Ho bisogno di te" e "Sono dipendente da te". Queste frasi ampiamente utilizzate catturano ciò che molte persone conoscono in prima persona: che quando siamo innamorati, proviamo un'attrazione fortissima per un'altra persona, persistente, urgente e difficile da ignorare.
Quando invece l’amore si trasforma in una ossessione che domina la mente e fa soffrire, non parliamo più di amore ma di DIPENDENZA AFFETTIVA. Essa è definibile come uno stato patologico in cui la relazione  di coppia è vissuta come condizione unica, indispensabile e necessaria per la propria esistenza. Si tratta di una forma di amore ossessivo, simbiotico, fusionale e stagnante che viene vissuto alla stregua di una droga e per il quale viene sacrificata qualsiasi spinta evolutiva (di cambiamento) ed ogni altra gratificazione.
All’altro viene attribuita un’importanza tale da annullare se stessi e non ascoltare i propri bisogni. Tale meccanismo viene perpetuato per evitare di affrontare la paura più grande: la rottura della relazione. 
La Dipendenza Affettiva fa parte delle cosiddette “New Addictions”, quelle forme di dipendenza dette dipendenze comportamentali, poiché non vedono coinvolta alcuna sostanza chimica (come alcol o sostanze di abuso): l’oggetto di queste dipendenze infatti è un comportamento (o una persona nel caso della dipendenza affettiva) o un’attività lecita e socialmente accettata.
La possibilità di passare dalla relazione d’amore ad una di dipendenza affettiva è frutto di concause legate a fattori di rischio, contestuali ed individuali, che rendono questo passaggio quasi impercettibile, individuabile probabilmente solo attraverso le conseguenze a lungo termine. 
La persona dipendente proviene prevalentemente da un’esperienza familiare in cui sono venuti a mancare accudimento, validazione e risonanza emotiva da parte delle figure di riferimento e ha quindi sperimentato un profondo senso di abbandono ed inadeguatezza, al quale fanno seguito emozioni di rabbia, vergogna e sensazione di vuoto interiore; inoltre non ha imparato a riconoscere, dare valore, prendersi cura dei propri bisogni e stati emotivi e a far rispettare confini relazionali sani.

CARATTERISTICHE DELLA DIPENDENZA AFFETTIVA
Tra le caratteristiche della dipendenza affettiva troviamo:
  • il soddisfare i propri bisogni di amore e di riconoscimento solo attraverso la cura del partner; 
  • lo scegliere uomini o donne che appaiono bisognosi di aiuto e credere di aiutarli e salvarli attraverso il proprio amore;
  •  l’avere una profonda paura dell’abbandono e fare qualunque cosa per evitarlo;
  •  il farsi carico dei bisogni del proprio partner per averlo vicino, come supportarlo finanziariamente, cercargli lavoro; 
  • Il compiacimento ad oltranza del partner; 
  • l’assumersi la maggior parte della responsabilità per ogni problema o fallimento della propria unione; 
  • un basso livello di autostima; 
  • l’inclinazione a compensare il vuoto affettivo interiore attraverso un’ulteriore dipendenza da droghe, cibo e alcool. 
I dipendenti affettivi, solitamente sono donne e ci sono alcuni specifici elementi che le accomunano: 
  • si tratta di donne bisognose di conferme; 
  • con uno stile di attaccamento ansioso- insicuro;
  • con una scarsa autostima;
  • terrorizzate dal fantasma dell’abbandono ;
  • tendenti alla iper responsabilizzazione 
  • provenienti da famiglie problematiche 

COME USCIRE DAL CIRCOLO VIZIOSO DELLA DIPENDENZA AFFETTIVA
Come fare dunque per imparare ad avere relazioni più sane? 
Occorre lavorare su alcuni punti fondamentali:
  1. osservare e lavorare sui comportamenti di dipendenza all’interno della relazione: imparare a restare nella fase di “ritiro” del ciclo emotivo, senza agire i comportamenti volti a recuperare il partner. Consapevolizzare ed agire sui sentimenti dolorosi legati alle esperienze di abbandono e abuso dell’infanzia;
  2. Lavorare sui sottostanti aspetti di codipendenza (sani confini, cura e rispetto di sé, capacità di riconoscere e far valere i propri reali bisogno ecc.)
  3.  Prendersi cura di sé e provare a chiedere aiuto ad un professionista della salute come uno psicologo o uno psicoterapeuta per consapevolizzare ed elaborare i vissuti dolorosi. 
Re-impegnarsi in una relazione sentimentale solo dopo aver raggiunto un buon livello di integrazione della personalità.

Dott.ssa Rosanna Di Falco
Psicologa, Pedagogista, Mediatrice Familiare
Via Col di Lana, 11 Roma


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