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Relazione Genitore–Figlio: come gestire le emozioni anche in emergenza.

4/12/2020

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 Articolo a cura della Dott.ssa Giorgia Scarpitti 

In questi mesi di emergenza sanitaria, ogni individuo ha rimodulato le proprie abitudini adattandole agli attuali provvedimenti anti-contagio, al fine di tutelare la salute delle persone a noi vicine e della nostra comunità. Questi cambiamenti richiedono impegno e costanza nel rispettare regole che impongono a noi tutti confini chiari e definiti, limitando i nostri desideri e le nostre scelte quotidiane. 

Immaginiamo un bambino che è solito svolgere azioni con i nonni, ad esempio giocare a lungo con i videogiochi, ma un’altra autorità, ovvero i suoi genitori, gli vieta di fare le stesse cose. Il bambino sperimenterà allora diverse emozioni, come ad esempio rabbia, tristezza e noia, causate da una privazione che non comprende e che ha difficoltà ad accettare. In questo periodo ogni persona, di qualunque età, sta sperimentando dei “no” che possono generare naturalmente emozioni contrastanti e a volte difficili da gestire. Tutti gli individui si trovano infatti costretti in norme e regole che richiedono a volte molta fatica per essere adempiute, in quanto stravolgono comportamenti abituali e consolidati.  
L’emergenza sanitaria impone divieti che per alcune categorie hanno ripercussioni sia nello stato di salute psicofisico sia nella personale situazione socio-economica. Sin dall’inizio della pandemia, i genitori sono stati chiamati a rispondere con prontezza ad una serie di difficoltà pratiche e organizzative. Lo smart-working, pur essendo un provvedimento indispensabile per la salute pubblica, ha portato con sé conseguenze inevitabili che, a volte, pesano nella gestione familiare. È complicato cogliere fino in fondo ciò che vive un padre e una madre, al tempo del covid. Immaginiamo che molte volte i genitori si sentano dire come e cosa fare e alla lunga tutti i consigli non richiesti, seppure a volte utili, potrebbero non essere accolti. Proviamo ad immaginare cosa può significare lavorare con i figli in casa; come può essere occuparsi della propria attività nella stessa stanza in cui si mangia o in cui si guarda la tv; telefonare o partecipare a call conference mentre in casa ci sono i figli che litigano o chiedono dove sono i calzini. E se i figli sono piccoli? I genitori si trovano a rispondere a maggiori richieste e a far fronte a più difficoltà nella gestione della quotidianità. A volte invece la dimensione della propria casa trasmette talmente tanta sicurezza e protezione che il rischio potrebbe essere quello di evitare le uscite, limitando le possibili situazioni di svago ancora concesse dalle regole emergenziali imposte, come una passeggiata nel verde. Questi sono solo piccoli esempi di una realtà ben più complessa, in cui i genitori si adattano giornalmente e che richiede un importante dispendio di energie. Gli aspetti pratici e organizzativi spesso assorbono la maggior parte delle energie dei genitori e generano stress e affaticamento. 
L’emergenza sanitaria è un vero stravolgimento anche per bambini e adolescenti, infatti suscita anche in loro un turbamento emotivo spesso mascherato da comportamenti apparentemente disconnessi dalla situazione attuale. In realtà, ogni comportamento sta ad indicare qualcosa che, seppure non immediatamente leggibile, esiste. Questo avviene anche nella relazione genitore-figlio in cui la comunicazione non verbale costituisce un elemento chiave per cogliere i bisogni emotivi che i bambini e gli adolescenti vogliono trasmettere. «La comunicazione verbale implica l'uso della parola, con la quale esprimiamo il contenuto delle nostre azioni. La comunicazione non verbale è invece l'espressione del corpo, cioè l'insieme di tutti quei segnali che trasmettiamo attraverso i gesti, la mimica, le espressioni facciali, l'accento emotivo della comunicazione. Comunicare non equivale a parlare; i messaggi contengono percentuali diverse di elementi comunicativi (Giusti, Ticconi, 1998).
  • 7% Comunicazione verbale (parole);
  • 38% comunicazione para verbale (volume ed espressività della voce, velocità dell’eloquio, ecc.);
  • 55% movimenti del corpo» (De Luca, Spalletta, 2011, pag. 83). 
La stanchezza e lo stress dei genitori e lo scompiglio emozionale dei figli a volte rischiano di provocare un corto circuito comunicativo, generando incomprensioni o fraintendimenti. I genitori a volte potrebbero faticare a comprendere i comportamenti dei figli oppure potrebbero rischiare di interpretarli attraverso la loro prospettiva soggettiva. Uno strumento utile per costruire un ponte comunicativo è l’ascolto attivo. «Il bisogno di essere ascoltati e la disponibilità ad ascoltare è il primo passo per costruire una comunicazione efficace e di conseguenza una buona relazione» (De Luca, Spalletta, 2011, pag. 83). Potrebbe sembrare scontato parlare di ascolto, tutti sentiamo ciò che ci circonda, eppure ascoltare è una vera e propria Arte. È possibile ascoltare con gli occhi per osservare ciò che accade, è possibile ascoltare con la testa per domandarsi e poter verificare all’esterno, con l’altro da sé, “cosa mi sta comunicando?” ed è possibile, infine, ascoltare con il cuore per cogliere empaticamente le vibrazioni emotive che i figli trasmettono. Attraverso l’ascolto reale e profondo dei figli, è possibile scorgere oltre il comportamento, cogliere il bisogno e l’emozione esperita, guardando dal punto di vista dell’altro. L’ascolto empatico rappresenta uno strumento utile per gestire le emozioni dei figli, anche durante questo periodo emergenziale. Con tale strumento s’intende la capacità del genitore di sintonizzarsi emotivamente con la musica interiore dei figli senza applicare alcuna distorsione che parta da una personale lettura dello spartito. Il suono emotivo del figlio è bene che venga ascoltato profondamente così come appare, accogliendo e comprendendo la musicalità senza giudizio né critiche, attraverso un processo di validazione. Ad esempio, immaginiamo un bambino molto arrabbiato per non aver potuto mangiare un gelato prima di cena. In questo caso, se il genitore, anziché dirgli “non devi urlare” gli rimanderà “Può accade a tutti di sentire rabbia, anche a me, è naturale!” starà validando l’emozione del bambino legittimandola nel suo alfabeto emozionale.  Tuttavia, è importante ricordare che validare e accogliere l’emozione non vuol dire assecondare tutte le richieste e i desideri del figlio ma agevolarlo nel dare un nome a ciò che sente così da imparare piano piano a gestire le emozioni e le conseguenti azioni.
Quando il genitore valida l’emozione del figlio, contestualmente gli trasmette che il suo mondo emotivo, attraverso il quale sperimenta la realtà, è “ok”, in tal modo tutte le emozioni sono legittimate ad essere espresse. Il figlio sperimenta un genitore che accoglie le sue emozioni, il proprio mondo interiore, che accetta il suo sé nella totalità, senza giudizi né svalutazioni. È importante che il genitore sperimenti ogni manifestazione emotiva del figlio come un’opportunità per cogliere di più la sua essenza, differente, unica. 
«A volte i genitori temono le reazioni aggressive perché le considerano un atto di rottura del legame, ma non è così. in fondo lo stesso termine aggressività nella sua etimologia indica “andare verso”, ovvero un atto di avvicinamento piuttosto che di rottura. Mi arrabbio perché credo sia giusto ristabilire un equilibrio, uno stato di giustizia dal punto di vista soggettivo; più importante è la situazione, più ci tengo a ristabilire l'equilibrio. Piuttosto che un atto di rottura è spesso un atto di fiducia» (Perdighe, 2015). I figli si aprono e manifestano il loro disagio attraverso espressioni emotive a volte forti proprio con coloro con cui sentono di potersi fidare. Ascoltare e validare le emozioni è fondamentale per legittimare il mondo interiore del figlio, rispondere alla sua richiesta di ascolto con la giusta vicinanza emotiva consolidando la fiducia che ha riposto nel genitore. 
Altre strategie di coping familiare utili in questo periodo di emergenza riguardano la strutturazione del tempo familiare. Può essere importante definire dei momenti nella giornata in cui ogni membro della famiglia possa svolgere da solo, per un tempo realistico, un attività che gli piace. Ritrovare spazi individuali di benessere favorisce la ricarica delle proprie energie e migliora la relazione con gli altri. Inoltre, è molto utile incrementare momenti piacevoli insieme, costruire, con la collaborazione di tutti i membri della famiglia, un tempo in cui poter condividere attività soddisfacenti che rafforzino il benessere familiare. Gli spazi di condivisione possono generare scambi che, seppure non hanno il potere di trasformare la realtà circostante, possono darci nutrienti carezze emotive che incrementano l’armonia in famiglia e migliorano il benessere personale. 

Bibliografia
Perdighe (2015) Il linguaggio del cuore. Riconoscere e accettare le emozioni dei propri figli e accompagnarli nella crescita. Edizioni Centro Studi Erikson S.p.A.
De Luca, Spalletta, (2011) Praticare il tempo. Manuale operativo per ottimizzare la vita personale e professionale. Sovera Edizioni.

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